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L’ artigianato

L’ artigianato della Calabria, oggi, è un’arte ed una tecnica affascinante e seducente, una cultura, una tradizione, grazie a grandi maestri che hanno tramandato le loro tecniche nei secoli, ed oggi la tradizione artigianale è ancora viva nei piccoli centri collinari e montanari.
L’ artigiano calabrese affonda le sue radici nella civiltà mediterranea e, soprattutto, in quella della Magna Grecia da cui discende, e rappresenta la concreta dimostrazione delle tradizioni antiche e dei mestieri di una volta, legati a modelli e forme della civiltà e delle dominazioni passate, ai diversi periodi storici si lega la varietà di forme ceramiche.
I prodotti dell’artigianato calabrese si caratterizzano per la grande diversità in estetica, tecnica, e funzionalità. L’ artista calabrese è versatile nell’ utilizzo e lavorazione dei materiali, dal legno ai tessuti e ai filati, dall’oro al ferro battuto e al rame, dalla pietra alla ceramica, dalla paglia o vimine alla scultura in legno, creando manufatti belli e di valore e molto apprezzati, capolavori unici impreziositi da motivi e disegni millenari. Gli artigiani calabresi, da sempre attenti al rispetto e alla valorizzazione della cultura e della tradizione, hanno mantenuto intatto lo stile e le modalità dell’ arte legata alla produzione di oggetti e manufatti, elaborando un processo creativo individuale di tipo innovativo e moderno, nel quale è indiscutibile il legame con le radici comuni della propria terra, ed ancora oggi lavorano esclusivamente con gli stessi utensili e materiali di una volta, lo scalpello, il coltellino, il tornio a ruota, il telaio a mano.

Prodotti Artigianali

Fra i vari prodotti artigianali calabresi, al primo posto troviamo la tessitura. L’ arte della tessitura in Calabria, costituita da cotone, lino e seta, è antichissima, e lo dimostrano i tanti “contrappesi” da telaio in terracotta (i più antichi risalgono al 7-6 sec. a.C.), ritrovati durante gli scavi archeologici nell‘ alto Jonio cosentino.
In ogni casa, 100 anni fa, c’era un telaio e le donne tessevano per i bisogni della propria famiglia e qualcuna per i signori del luogo, gli ‘gnuri’, e le madri insegnavano alle figlie i segreti della filatura e del ricamo, e prima di sposarle, come dote, le ricamavano eleganti biancheria da tavola, da letto o da bagno, secondo una tradizione tramandata fino ai giorni nostri. Oggi la produzione tessile, sebbene molto ridimensionata rispetto al passato, produce dei manufatti di qualità e molto apprezzati, i famosissimi vancali, scialli di lana e seta lavorati come un tempo, su telai a mano, e le “pezzarre”, tessuti a strisce multicolori utilizzati come tappeti o come decorazione delle pareti e per la lavorazione della lana e della seta, tessuti in telai a mano di tipo quattrocentesco, i tappeti intrecciati con una tecnica particolare araba e i tessuti sono ricamati con il tombolo, una specie di cuscino dalla varie forme (testimonianza della presenza bizantina, araba e albanese) o gli “arazzi”, di origini antichissime, sono particolari tessuti realizzati con ornamenti e figure, lavorati secondo una tecnica già in uso nel XIII secolo nella città di Arras, da cui prendono il nome, ed oggi produzione specializzata di Longobucco, comune della Sila Greca.
L’artigianato calabro continua con la lavorazione dell’ oro, argento, preziosi, e la creazione di splendidi gioielli spesso ispirandosi ai monili della Magna Grecia, o argenti riproducenti antichi oggetti di uso domestico, apprezzati e richiesti in tutto il mondo. L’ oro e i metalli più nobili venivano lavorati anche insieme al rame e bronzo, per creare monili di grande valore. La tradizione della lavorazione del rame è antichissima, alcune fonderie risalgono al periodo bizantino. Gli artigiani calabresi si distinsero anche nella lavorazione e del rame e bronzo, e si specializzarono soprattutto nella produzione in rame di oggetti d’uso quotidiano e di carattere domestico-rustico, quali bracieri, brocche, caldaie, e nella fusione in bronzo di campane per le chiese di Calabria (numerosi sono gli esempi rimasti, provenienti per la maggior parte dalle abbazie basiliane), il cui segreto di lavorazione si tramandava di padre in figlio.
Caratteristica è la produzione di strumenti musicali di grande pregio, in particolar modo quella dei maestri liutai a Bisignano in provincia di Cosenza, e la costruzione degli zufoli in canna, del flauto di corteccia o del tamburo a frizione, del fischietto cioe il flauto di canna, ampiamente diffuso tra i pastori e i contadini, del fischiotto cioè il doppio flauto, costituito da due pezzi indipendenti suonati contemporaneamente, della zampogna, che può essere considerata lo strumento piu caratteristico della musica calabrese e presente in tantissime occasioni, dai battesimi, ai matrimoni, alle serenate, Natale, Capodanno, Epifania. Per la sua forma e parti animali, si prestava anche a significati magico-rituali, connessi alla vita agro-pastorale, nel cui ambito assumeva grande rilievo. Nelle feste la zampogna assolveva a una duplice funzione, sacra e profana, attraverso due generi: la pastorale o la processionale , che era lente e solenne in quanto accompagnava la processione la messa in chiesa, e la tarantella, invece veloce e ritmata, che accompagnava il ballo. Oggi è ancora presente in molte aree della Calabria con carratteristiche differenti in base all’area di appartenenza. C’erano quattro differenti tipi di zampogna, con caratteristiche proprie per ciascun tipo: la zampogna a chiave (di accompagnamento) , diffusa nella provincia di Catanzaro (Serre) e Cosenza; la zampogna a moderna diffusa nella provincia di Reggio Calabria nell’ area grecanica; la zampogna a paru diffusa nella provincia di Reggio Calabria; la zampogna surdulina diffusa nella provincia di Catanzaro e Cosenza nelle aree albanesi.
La lavorazione del legno è sempre stata l’attività prevalente sia per la grande quantità di legno presente nei boschi della Sila e dell’Aspromonte (la Calabria era la principale fornitrice di legno della Roma dei Papi, e gli artigiani calabresi furono gli artefici e fornitori di moltissimi arredi sacri nelle varie epoche), sia per la diffusione dell’arte di intaglio, praticata dai pastori nelle lunghe ore di guardia alle greggi al pascolo, e ha permesso sin dall’ antichità di sviluppare l’artigianato nel legno, fortemente legato alle tradizioni. Una delle forme più originali nella produzione del legno è quella chiamata “ arte dei pastori” , lavorazione rimasta sempre la stessa basata sulla tecnica dell’intaglio a mano. Di grande pregio i lavori di ebanisteria, di intaglio e di intarsio, come la produzione di pipe, una tradizione tramandata da padre in figlio, fra le più antiche e famose attività artigianali della regione Calabria. Oggi la produzione del legno va dai bastoni intagliati, alle pipe, ai mobili intagliati, alle sedie.
L’ arte della lavorazione del vimine, che in origine prevedeva l’uso del vimine bianco delle fiumare calabresi, i consiste nella costruzione a mano di cestini (panari, merguliddi, cistielli), sedie impagliate ed altri accessori e souvenir.
In Calabria è presente una varia e qualificata produzione di manufatti in ceramica. L’arte della ceramica ha in Calabria una tradizione secolare in una continuità ininterrotta fin dal neolitico inferiore. La produzione di ceramiche e terrecotte, in Calabria, è influenzata dalla tradizione e dalla cultura delle popolazioni che, nei secoli, vi hanno abitato , e le civiltà e le culture che si sono succedute hanno lasciato la propria impronta apportando elementi nuovi al già ricco patrimonio tradizionale locale. L’arte della ceramica calabrese affonda le proprie radici nella Magna Grecia e nella vicina Sicilia, profondamente imbevute di cultura ellenica; gran parte delle lavorazioni di ceramica dei tanti vasai calabresi si ispira alle forme dei maestri della Magna Grecia e ad oggetti rinvenuti nelle necropoli.
Anche l’ analisi delle diverse tecniche produttive permette di stabilire quali siano state le eventuali influenze culturali e gli scambi commerciali che hanno determinato l’evoluzione e l’introduzione di nuove tipologie e tecniche. L’ analisi degli impasti, volta a determinare la zona e il contesto da cui il prodotto proviene (tipo di insediamento, tipo di struttture..), puo indicare l’area di produzione permettendo di formulare ipotesi su quali fossero le rotte commerciali del prodotto, e di quali tipi di commerci, scambi, rapporti economici esso facesse parte. Tropea, ad esempio, era un centro urbano fiorente sulla costa tirrenica e i contatti commerciali erano stati favoriti, a partire dal VI sec. d.C. e durante il periodo della dominazione araba, dalla fiorente attività del porto, facendo pensare ad un positivo trend commerciale anche nel periodo normanno. Nell’alto medioevo la ceramica calabrese subì l’influenza dell’arte bizantina e delle ceramiche musulmane di Sicilia e degli ebrei, specializzati nelle lavorazioni artigianali e industriali. Nel Medievo c’erano tre tipi di ceramiche: da trasporto, cioè anfore, ceramiche di uso comune, ceramiche da mensa. Nel periodo della ripresa economica e culturale, tra la fine dell’ XI e il XII secolo, la monarchia normanna sviluppò un radicale rinnovamento nella gestione territoriale, con la ridistribuzione della proprietà terriera, ma anche degli spazi maritttimi, garantendo una maggiore sicurezza di navigazione e delle rotte commerciali. Prova della ripresa economica e culturale è il maggior numero di anfore ritrovate negli scavi e maggiore varietà tipologica, che sembra sottolineare una sorta di specializzazione dei contenitori da trasporto. Le anfore riguardano una limitata area geografica della Calabria, il litorale tirrenico, in uno più stretto rapporto commerciale con la vicina Sicilia e l’ area maghebrina, infatti alcuni scavi lungo la costa ionica hanno rinvenuto poche anfore, a testimonianza di un certo isolamento della costa ionica rispetto alla tirrenica molto più dinamica. L’ antica tradizione calabrese artigiana della ceramica continua ancora oggi in alcuni grandi centri calabresi: Locri è famosa per le lucerne e anfore; Gerace per le sue ceramiche artistiche, che rievocano le forme classiche della ceramica greca di Locri; Squillace per le sue ceramiche graffite seicentesche, La caratteristica delle ceramiche squillacesi è rappresentata dall’antica tecnica dell’ “ingobbio” (un procedimento che consiste nel rivestire il manufatto di argilla di colore bianco che viene poi decorato a graffio con una punta acuminata); Seminaracon le sue fornaci, in cui la tradizione prosegue con tecniche e caratteristiche di impronta popolare.
La lavorazione della ceramica è ancora oggi fondata su un originale impasto di terra, acqua e fuoco. I prodotti dei ceramisti calabresi dapprima erano per un utilizzo quotidiano, oggi anche come oggetti ornamentali e di riconversione stilistica e funzionale di oggetti popolari e tradizionali. Gli articoli più comuni sono rappresentati da vasi, anfore, brocche e zuppiere, antipastiere, cache-pot, scatole, portacenere, vassoi, servizi da té e caffè, piatti in terracotta, o maiolicati costruiti nelle forme più svariate e decorati con motivi che riproducono lo stile dell’antica Magna Grecia o quello Greco-Bizantino. Una delle caratteristiche della ceramica calabrese è l’utilizzo frequente di simbolismi e di ritualità di ispirazione magica, e di gran pregio è la produzione di graffiti, dei pinakes, quei quadretti votivi in terracotta, prodotti soprattutto Locri e a Reggio del VI e V sec. a. C., con raffigurazioni in bassorilievo. Ricca anche la produzione delle statuine rappresentanti i personaggi tipici calabresi o anche caratteristici presepi in miniatura che riproducono momenti di vita domestica del mondo rurale calabrese. Molto interesse artistico destano le cannatei boccali, i bumbuli o le quartare e il ‘riccio’ (una strana bottiglia panciuta e irta di punte), le maschere contro il malocchio ed apotropaiche o il babbalucco scaramantico, che sono la prova di una miscela delle culture che hanno in passato interessato la Calabria. Le maschere contro il malocchio ed apotropaiche, nel loro aspetto orrido e grottesco e nelle loro forme grottesche e buffe, rievocano oggetti arcaici di carattere sacrale o votivo, ed hanno la funzione protettiva di tenere lontani gli spiriti del male che, nella tradizione popolare calabrese, si concretizzavano negli invidiosi portatori di malocchio, negli spiritelli maligni e nel diavolo, e a tal fine erano messe bene in evidenza, incastonate nei muri o appese in posizione rilevante all’interno delle case, o sui portali d’ingresso dei palazzi, dimostrano come l’evoluzione dell’elemento decorativo, affidato alla fantasia del ceramista, si fonda con l’espressione tipica di credenze o fantasmi popolari. I babbaluti in ceramica hanno origine durante la dominazione spagnola quando, per effetto della malcontento del popolo contro il potere costituito spagnolo, gli artigiani accentuarono e definirono l’aspetto antropomorfo dei “babbaluti” delle bottiglie, così il “babbaluto” assunse di volta in volta la fisionomia gendarme spagnolo, del soldato borbonico, del signorotto locale o del potente di turno.